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Donazione organi “a cuore fermo”

Il punto di vista del prof. Andrea Dell’Amore UOC Di Chirurgia Toracica e Trapianto di Polmone Policlinico Università di Padova.

Nell’ultimo periodo stiamo assistendo ad un’accelerazione molto veloce di tutto ciò che riguarda il mondo dei trapianti, dall’utilizzo di fantascientifiche tecniche genetiche all’implementazione di nuove tecniche di espianto che già stanno dando ottimi risultati. Proprio riguardo alla tecnica del cosiddetto trapianto a cuore fermo abbiamo voluto focalizzare la nostra breve intervista al prof. Andrea Dell’Amore.

Innanzitutto come lo dovremmo chiamare esattamente?

Dal punto di vista del paziente, dovete continuarlo a chiamare semplicemente trapianto di polmone. Infatti per chi attende il trapianto non cambia nulla né dal punto di vista organizzativo né dal punto di vista chirurgico o di preparazione all’intervento. Se poi si sente la necessità di dargli un nome diverso il nome corretto è trapianto di polmone da donatore a cuore fermo.

Da quanto tempo si utilizza questa tecnica in Europa, in Italia e a Padova, per il trapianto di polmone?

Questo tipo di donatori sono divenuti una realtà ormai assodata da anni in alcuni paesi esteri, da più di una decade, in particolare tra i primi paesi ad implementare questo tipo di donazioni e renderle una realtà stabile nell’ambito del trapianto polmonare è stata la Spagna. In questo stato si sono mossi efficacemente sia dal punto di vista clinico-scientifico che normativo-legislativo già dai primi anni del duemila ed a oggi più del 50% dei trapianti eseguiti in spagna sono eseguiti da donatori a cuore fermo. Più o meno in contemporanea altri paesi, in particolare nordeuropei, sono cresciuti in questa attività ed oggi anche per loro è divenuta una pratica stabile e frequente. In Italia ci siamo mossi con maggiore lentezza principalmente per problemi organizzativi e legislativi che ancora oggi sono il limite principale all’implementazione di questo programma. Programma che ha subito negli ultimi due anni un ulteriore rallentamento per la pandemia da COVID che ha reso tutto molto più complicato. Detto questo sicuramente la nostra volontà è quella di continuare a crescere sperando che nei prossimi anni il numero di donatori a cuore fermo utilizzati continui ad aumentare per avvicinarci un po’ ai numeri dei nostri cugini Europei. A Padova il programma donatori a cuore fermo è attivo dal 2018, anche se ad oggi ancora sono pochi i casi eseguiti, ma sicuramente continueranno ad aumentare nei prossimi anni. Il nostro sistema trapianti sta creando una rete di collaborazione tra aziende ospedaliere della regione al fine di sensibilizzare i vari ospedali a questo tipo di donazioni, ma soprattutto per porre le basi organizzative che ci permettano di muoverci verso la sede del donatore in rapidità ed agevolmente così da non perdere l’opportunità di utilizzare questi organi per i nostri pazienti in lista.    

Differenze maggiori rispetto all’espianto tradizionale?

Dal punto di vista dei pazienti riceventi non vi sono differenze, come ho sottolineato in precedenza la differenza principale sta nella macchina organizzativa che si deve muovere per l’identificazione e la valutazione della idoneità di questi donatori. Comunque i parametri che valutiamo per definire l’idoneità di questi organi non si discosta da quelli che usiamo nei donatori “standard” a cuore battente. L’unica differenza sostanziale è che questi organi prima di essere giudicati definitivamente idonei e quindi essere impiantati vengono collegati a delle macchine, che si chiamano macchine per la perfusione e il ricondizionamento polmonare, che hanno lo scopo di darci il tempo materiale di capire come si comportano quegli organi in un setting di “circolazione sanguigna”. Inoltre queste macchine ci permettono di correggere eventuali piccoli difetti che possono avere questi organi. Attenzione, da non dimenticare che queste macchine a volte le usiamo anche per i polmoni prelevati dai donatori a cuore battente quando non siamo sicuri che gli organi siano perfetti o quando vogliamo migliorarne alcune caratteristiche, oppure ancora quando vengono prelevati a grandi distanze da nostro centro e quindi vogliamo ridurre il tempo di ischemia fredda (cioè il tempo che l’organo prelevato rimane conservato in ghiaccio prima di essere impiantato nel ricevente) di quegli organi. 

Cosa dovremmo dire a chi è già in lista e in questo periodo viene chiamato per sottoscrivere o no questa nuova opzione? Si tratta di organi di serie B? C’è anche un seppur minimo rischio in più per il ricevente?

Sicuramente tutti i trapiantandi di polmone devono essere informati di questa nuova opportunità, che può contribuire a ridurre il tempo di attesa in lista. Non sono organi di serie B, anzi sono organi super sicuri e valutati con una attenzione ancora più maniacale di quanto si fa con le donazioni standard. Dirò di più, dalla letteratura sembra che questi organi vadano addirittura meglio di quelli provenienti da donatori standard, sia in termini di risultati peri-operatori sia del rischio di rigetto. Ovviamente questi sono dati che andranno confermati negli anni, ma probabilmente questi organi risentono meno degli effetti negativi che la morte cerebrale ha sull’organismo del donatore, in particolare sul polmone, quindi di base hanno condizioni di partenza migliori rispetto a organi provenienti da donatori in morte cerebrale (donatori “standard” a cuore battente). Inoltre questi polmoni donati prima di essere impiantati vengono valutati e ricondizionati, ossia migliorati, in quelle apparecchiature di cui scrivevo prima, ottenendo così una ulteriore valutazione della loro idoneità. Quindi dal punto di vista del rischio, questo non si discosta da quello che comunque hanno tutte le donazioni e tutti i trapianti.    

Domanda futuristica: secondo lei il prossimo passo saranno gli organi artificiali o addirittura creati in laboratorio? Se sì, quali tempi prevede?

Domanda affascinante, per quanto riguarda il polmone, gli organi artificiali sono ancora un argomento più teorico che pratico. Il polmone, purtroppo, è un organo molto complesso che svolge tante attività fondamentali per il nostro corpo ed al momento non esiste qualcosa di artificiale intracorporeo che possa sostituirlo anche solo in parte. Avrete sentito parlare dell’ECMO, specie in questi anni di pandemia, che è una apparecchiatura che permette di vicariare la funzione respiratoria, ma per breve tempo ed è comunque qualcosa di paracorporeo che non può essere quindi considerato uno strumento applicabile a lungo tempo e/o al difuori di una rianimazione. Sugli organi creati in laboratorio anche qui siamo molto lontani specie per il polmone. Quest’anno molti di voi avranno saputo del primo trapianto di cuore da maiale a uomo eseguito negli USA, questi si chiamano xenotrapianti. Io personalmente credo in questo ambito si sono fatti passi avanti notevoli, ormai la barriera immunologica tra le due specie sta vacillando e speriamo si riesca a superare in maniera definitiva presto. Lo stesso vale per il rischio di trasmissione di malattie retrovirali da una specie all’altra che fino ad oggi è stata la maggiore preoccupazione degli scienziati. Detto questo però credo che il campo degli xenotrapianti ci possa dare risultati maggiori e più velocemente nei prossimi anni, ma sicuramente è necessaria ancora tanta, tanta ricerca in merito

Ringraziamo la disponibilità del prof. Dell'Amore e chiudiamo con una breve considerazione: siamo felici che l'innovazione scientifica e tecnologica permetta di ottenere tempi di attesa più brevi per i nostri amici e amiche in attesa di trapianto. Dobbiamo però nel frattempo continuare a ringraziare i nostri donatori e le loro famiglie perché solo grazie al loro gesto di estrema generosità si può perpetuare il miracolo della donazione degli organi. 

DONARE UN ORGANO È DONARE UNA VITA

Il 16 agosto 2014 nasce su idea di Michael Girelli lo slogan “Donare un organo è donare una vita”.

Michael ha 27 anni, fin dalla nascita ha convissuto con  la Fibrosi Cistica e il 16 agosto 2013  riceve il grande dono: una seconda vita, la possibilità di respirare un’aria nuova, grazie alla  generosità di un altro ragazzo e della sua famiglia, può ottenere il trapianto bipolmonare.

Ad un anno dal trapianto Michael vuole festeggiare la sua nuova vita creando delle  magliette: unisce questo slogan sintetico ma significativo, ad un  disegno unico meraviglioso e di forte  impatto, creato dalle mani d’oro di Selene Finanziere una giovane e grande amica che sarà   sempre nei nostri cuori…

Lo scopo delle magliette è quello di sensibilizzare le persone alla donazione degli organi, un argomento ignorato dalla maggior parte della gente  per disinteresse o per disinformazione.

Solo grazie alla donazione degli organi molte persone affette da gravi e incurabili  malattie possono godere di una nuova vita; finalmente un’esistenza che prima era solo di sofferenza.

Il progetto è in continua espansione ed ad oggi  si sono aggiunti nuovi gadgets, quali canottiere, pantaloni lunghi e corti e altro ancora.

Noi non ci fermiamo,  perché per noi è fondamentale sensibilizzare la maggior parte della  popolazione sulla donazione degli organi.

Magliette, canotte e pantaloni, vengono dati in omaggio a tutte le persone che decidono di  sostenere l’Unione Trapiantati Polmone di Padova:  mediante la vostra donazione scegliete il gadget che più preferite!!

Per le donazioni non serve essere soci, ammalati, parenti ma semplicemente persone che  credono nel nostro progetto e voglio sostenere le iniziative della nostra associazione ONLUS.

Il denaro devoluto viene utilizzato dall’UTP a sostegno del Reparto di Chirurgia Toracica del  Policlinico di Padova, per ricerche scientifiche, acquisto di materiale fisioterapico e qualsiasi progetto utile per le persone in pre o post trapianto polmonare.

Un piccolo ricordo di Sally

“Selene Finanziere ha realizzato questo disegno nel luglio del 2014. Da tutti si faceva chiamare Sally, era una guerriera, uno spirito libero, un’artista. Era energia, divertimento, bellezza: una persona che lascia il segno. Il disegno dei polmoni era un semplice regalo per Michael, ma poi è diventatato qualcosa di molto più grande, perché DONARE UN ORGANO E’ DONARE UNA VITA”.

Il Trapianto Polmonare

Il file pdf che trovate in questa pagina rappresenta l’opuscolo che viene consegnato ai pazienti del centro trapianti di polmone di Padova. In esso vi sono elencate tutte le procedure che riguardano il trapianto in tutte le sue fasi. Può essere quindi un’utile risorsa per avere risposte a tutte le domande che spesso ci si pone in relazione al trapianto. Sono procedure generalizzate e perlopiù comuni a tutti i centri, anche se comunque vi può essere qualche piccola differenza di comportamento fra centro e centro. In caso abbiate necessità di ulteriori risposte vi chiediamo gentilmente di contattarci nell’apposita sezione “contatti”.

Fibrosi Cistica: La storia di Beatrice

INTRODUZIONE

Sono al mare, sola, il venticello soffia leggero sul mio volto, percepisco una bella sensazione di respirare a polmoni aperti, la fatica che di solito facevo per fare pochi passi, qui mi sembrava svanire!!

Ad un tratto mi fermo… il suono delle onde, il paesaggio quasi desertico, la sua quiete e i raggi del sole, mi fanno riflettere. Una vena malinconica mi assale perché so che questa bella sensazione purtroppo durerà così poco… ma poi un bel pensiero mi ritorna in mente: dico a me stessa che quell’attimo non capita poi a tutti… visto che per la maggior parte delle persone cosiddette “normali” respirare è una cosa naturale e non si rendono neanche conto di farlo perché a differenza mia, non hanno mai avuto la famosa “fame d’aria”.

Il mare ascolta…e non fa domande. Fortunatamente dista solo una ventina di km da casa mia e spesso mi piace andarci anche inverno. Questo mi permette di spingermi oltre ai confini del mio paese…. oltre i miei pensieri, oltre la mia casa, che ormai mi pareva più una “casa di cura”.

A questo proposito volevo aprire una “piccola parentesi”.

 ACCENNI DELLA MIA STORIA – PREMESSA

 Mi chiamo Beatrice Stipa e vorrei condividere con voi la mia storia di “Resurrezione”.

All’età di undici anni dopo una grave broncopolmonite mi diagnosticarono la Fibrosi cistica.

Questa malattia genetica detta anche “mucoviscidosi”, per la sua caratteristica principale della densità del muco, implica un impegno continuo a guadagnarsi, la vita giorno per giorno, attraverso ore di sedute di fisioterapia respiratoria, farmaci inalatori e antibiotici; fino a quando le cure a casa non bastano più, e a quel punto si passa ai ricoveri ospedalieri.

Durante questi ricoveri ho avuto però il piacere di conoscere tante persone piene di vita, voglia di combattere, che mi hanno aiutato ad affrontare la malattia con ironia e spensieratezza. Nonostante tutti i problemi, i cicli di antibiotico in vena e le lunghe degenze in ospedale, assieme ci davamo coraggio. Le battute fra noi ragazzi non mancavano mai e questo alleggeriva parecchio il nostro problema. L’ospedale era diventato una sorta di seconda casa. Ad essere sincera non mi ha mai pesato così tanto il pensiero di andare a ricovero, visto che le conoscenze, le amicizie, le libere uscite dall’ospedale, la nostra privacy nelle stanze singole… bilanciavano in positivo la negatività del ricovero. Oggi dopo aver frequentato diversi ospedali e diversi reparti posso veramente dire, che nonostante la sofferenza della malattia, il ricovero in quel reparto di Fibrosi cistica di Verona, è davvero il migliore che si possa fare. Ormai avevo fatto l’abitudine ad andarci periodicamente e non avrei mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui io avessi potuto farne a meno.

Ogni giorno da una “disgrazia” può nascere una grazia perché nulla è impossibile a Dio.

Io e gli altri trapiantati vogliamo essere testimonianza per tutti che Dio agisce, anche dove noi non credevamo che si potesse arrivare.
Per questo però non dobbiamo credere che esistano solo i miracoli “grandi” ma vedere in ogni giorno un miracolo.
Camminare, fare una chiacchierata, mangiare, dormire, lavarsi, azioni che ogni giorno facciamo automaticamente, non sono da dare per scontate.
Riprendere a compiere queste semplici azioni di vita quotidiana è una gioia che non ha paragoni.

LA DIAGNOSI DI FIBROSI CISTICA

 Quando mi diagnosticarono la fibrosi cistica avevo undici anni. Questa malattia era una parola nuova per me e la mia famiglia… Non ne avevamo mai sentito parlare. Dopo una serie di esami presso la pediatria di San Donà di Piave che mi teneva in cura per una grave broncopolmonite decisero di inviarmi al centro “Fibrosi Cistica” di Verona.

Fortunatamente, dopo un mese e mezzo di ricovero a San Donà di Piave ero riuscita a riprendermi prima di arrivare al ricovero nel reparto Fibrosi Cistica di Borgo Trento, a Verona. Quando arrivai lì, non ero per niente preoccupata, nonostante mia mamma non  mi avesse ben spiegato che cosa andassimo a fare.

Il reparto Fibrosi cistica nel 2001 era molto diverso da quello attuale ma le persone che vedevo allora sono sempre molto giovani come quelli di oggi. Al mio ingresso c’erano molti ragazzi adolescenti e pochi adulti appesi alle flebo, come a un filo… Quel filo che era così fragile. Sembravano diversi da me e mai avrei pensato di essere una di loro.

La mia degenza durò poco più di una settimana. Una settimana di esami di ogni tipo, test del sudore, raggi X, TAC, fisioterapia. In quel periodo mi sentivo bene e vivevo tutto come un “gioco”.

La prima volta che ho fatto la fisioterapia ero con una signora così minuta e dolce che mi sembrava una bambolina con cui giocare. Si chiamava, e già il nome mi suonava buffo e subito la presi in simpatia.

Quando arrivava le saltavo addosso e poi la nostra mezz’oretta di fisioterapia passava cercando di soffiare dentro la PEP-MASK per espettorare l’eventuale muco. Fortunatamente in quegli anni non avevo ancora tanto bisogno del drenaggio quanto negli anni successivi, in cui era diventato indispensabile come bere acqua.

A parte la fisioterapia, avevo fatto amicizia con molti pazienti e familiari, erano tutti simpatici e ci avevano dato le direttive generali del reparto. Indovinate quale fu la prima cosa che feci? Il permesso d’uscita per far provviste al supermercato di fronte all’ospedale il rinomato “MIGROSS”, per recuperare i chili persi con le galatine e i Kinder cereali.

Al contrario del reparto di pediatria di San Donà di Piave per fortuna, la le distrazioni non mancavano.

Un momento impegnativo era la scuola. Quasi tutti i giorni la frequentavo e il maestro faceva il possibile per farmi stare al passo con i miei compagni di classe, facendomi fare temi e che poi li faceva correggere da un’altra professoressa, per poi inviarli alla mia insegnante a Musile di Piave.

Ricordo altri bei momenti di svago, le nostre cene nella cucina dell’ospedale… quando qualche brava mamma si metteva a cucinare per tutti.

Quelli sì che erano bei tempi! La compagnia era fondamentale durante quelle lunghe degenze, e i medici in quegli anni non ci vietavano di stare insieme.  Devo dire che come primo impatto con quel nuovo mondo non mi sembrò così malvagio!

Quasi un mese dopo, la lettera di dimissioni arrivò a casa nostra.

La diagnosi era proprio fibrosi cistica. 

È solo un nome non vuol dir nulla … “Io sto bene ora mamma” così le dissi… e lo pensavo veramente.

Il potere di quella lettera però era più grande delle parole di sua figlia e lei cominciò una brutta fase di depressione.

Tutte le enciclopedie, e le persone più esperte a cui ci avevano consigliato di rivolgerci, in sostanza dicevano la stessa cosa. La fibrosi cistica è una malattia genetica degenerativa grave fra le più diffuse che colpisce i polmoni, pancreas, fegato causando l’insufficienza respiratoria e danni irreversibili che nei casi più gravi possono portare al ricorso di un trapianto. L’età media è di 35/40 anni.

Tutte parole molto vaghe per noi che però avevano tutte un quadro molto spaventoso.

La mia vita di scolara, figlia e sorella, amica proseguì comunque e devo dire che non mi sentivo per niente diversa dai miei coetanei. I medici mi avevano consigliato di proseguire i day hospital a Verona con una ricorrenza non molto ravvicinata e in base al mio stato di salute. Durante le visite comunque quasi sempre i medici ci rassicuravano dicendo che nella sfortuna di avere quell’incrocio genetico (mia madre di Jesolo e mio padre della provincia di Messina), la mia era una forma lieve e colpiva solo l’apparato respiratorio.

 Al tempo avevo solo qualche bronchiettasie, tosse, una spirometria normale. Eppure la malattia, seppur non si mostrasse nel mio aspetto, stava lavorando… nonostante la mia apparente normalità (andavo a scuola, mangiavo, dormivo, andavo a danza, uscivo con gli amici…).

I PRIMI PROBLEMI

A quattordici anni, attraverso la lastra hanno riscontrato la mia prima atelectasia.

Questo nome così impronunciabile per me, voleva dire che una parte del bronco si era collassata a causa dell’ostruzione del muco.

Inizialmente ero un po’ preoccupata, poi la preoccupazione si trasformò in energia positiva. Quanto bastava per darmi la carica che serviva per affrontare il mio primo “combattimento” serio con la Fibrosi cistica. Questo perché la soluzione al problema era di incrementare le sedute di fisioterapia anche fino a 10 volte al giorno. La fisioterapista che mi aveva seguita durante quel ricovero, era una ragazza molto determinata.

Nonostante fosse un po’ severa, come dicevano molte voci, devo ringraziare soprattutto lei per avermi trasmesso altrettanta determinazione nel volermi curare. Mi aveva fatto capire la serietà della situazione, e che se avessi seguito con costanza e impegno le cure, potevo superare molti ostacoli. Ricordo che mi aveva preparato un bel programmino col pennarello colorato per un totale di sei/sette sedute drenanti in tutte le posizioni e con tutte le tecniche possibili (anche a testa in giù). La pazienza, la costanza, l’impegno e la paura di dover ricorrere al bronco-lavaggio o di non riuscire a guarire da quel tappo di muco, alla fine mi hanno salvata. Dopo due settimane di cure intense stavo benissimo, e persino la mia Fisioterapista e i medici si erano congratulati con me: erano tutti stupiti dalla volontà di una ragazzina della mia età. Avevo raggiunto il 90% di fev 1 di spirometria e non avevo più escreato…

Purtroppo si sa le cose belle durano poco. Infatti il mio entusiasmo per quella mia vittoria era stato frenato dalle parole del Primario che disse che avrei dovuto iniziare a fare almeno un ricovero l’anno per tenere la malattia sotto controllo.

Inoltre il lobo superiore destro dei miei polmoni sarebbe sempre rimasto un possibile “ricettacolo di infezioni” e accumulo di secrezioni e batteri visto che il danno non poteva essere guarito.

Oltre alla mia situazione clinica anche quella del reparto di “Fc” era mutata. Esistevano nuove regole appese ai muri e alle bacheche. Era diventato obbligatorio l’uso della mascherina negli spazi comuni e soprattutto evitare contatti con i pazienti in isolamento.

Niente però, poteva fermare la voglia di conoscere persone con la tua stessa malattia, coi tuoi stessi sogni e problemi e insieme farci compagnia, e così ci trovavamo all’esterno delle mura ospedaliere.

Durante la lunga degenza dell’atelectasia, mia zia Elsa, che aveva sostituito mia mamma per farmi assistenza, era rimasta un po’ impressionata dal “settore A” dove stavano le persone che erano più gravi. Persone che avevano il supporto dell’ossigeno oppure avevano contratto germi resistenti. I germi resistenti erano la cosiddetta “CEPACIA  E  STAFFILO METICILLINO” per cui non esistevano antibiotici.

C’era il ricovero che trovavi il gruppo che ti coinvolgeva e ci si trovava a bere un caffè, oppure c’era il ricovero che non usciva nessuno. Alcuni dei ragazzi che continuavo a incontrare a ricovero sono rimasti miei amici, altri purtroppo non ce l’hanno fatta.

Di trapianto in quegli anni era raro sentirne parlare; sembrava un passo enorme, impensabile, al confine con la morte.

Intanto la mia vita scolastica e affettiva procedeva bene. A scuola ero migliorata, rispetto al biennio delle superiori, il triennio è stato più piacevole e semplice. I professori erano a conoscenza della mia malattia e

quindi la mia assenza per ricovero era sempre giustificata. I compagni mi passavano gli appunti che avevo

perso e si ricominciava.

Due settimane all’anno o più di ricovero non erano niente in confronto alla bellezza di riuscire a star bene. Riuscivo a trovare il tempo per la danza, per studiare e per uscire, come tutte le ragazze, nonostante la fisioterapia, le medicine da prendere e i ricoveri.

Fino all’anno della maturità sono stata abbastanza bene nonostante tutto… riuscivo ancora a prender fiato. 

Gli anni passano per tutti e chi prima e chi dopo, comunque avremo dovuto affrontare la nostra battaglia.

Infatti durante l’anno della maturità la mia amica FC “si pronunciò ad alta voce”, così cominciò la mancanza

di fiato a fare le scale, poi anche a riposo, la tosse carica di muco come con la mia prima broncopolmonite ad undici anni.

Ricordo che durante il ricovero dormivo sonni profondi e quasi le infermiere non riuscivano a svegliarmi! Era la seconda volta che avevo utilizzato il supporto dell’ossigeno e questo ovviamente faceva paura a mia mamma che era sempre lì con me, e a tutti.

Flebo, fisioterapia, e il sostegno di medici, infermieri e familiari ancora una volta mi avevano salvata. Non ho molti ricordi dettagliati di quel ricovero, se non che avevo un sonno e una stanchezza immensa dovuta alla febbre e all’infezione, ricordo però di una ragazza. Mi aveva colpito perché andava in giro con un carretto con una specie di sacchetto collegato ad un tubo. Non capivo cosa fosse quel liquido rosso che scorreva nel tubo e soprattutto ero spaventata perché la sentivo urlare dal dolore. Con gli anni feci la sua conoscenza, assieme a sua mamma, ha passato una grande sofferenza per poi esser ricompensata e festeggiare 10 anni di trapianto questo novembre 2015!

DOPO LA MATURITA’

Tornai a casa che era ancora estate e una volta assolti tutti i miei impegni di studentessa, mi sarei goduta la spiaggia di Jesolo con il sole, gli amici, e nient’altro.

Avevo tanto bisogno di quella bella sensazioni di benessere che solo l’estate sa regalare.

In quel periodo frequentavo anche un ragazzo ma non stavamo ancora insieme:  un tipo particolare, mi intrigava. Della mia malattia ne ho parlato subito con lui, non appena mi aveva chiesto la causa di quella brutta tosse… Ma non ci aveva dato molta importanza!

Qualche anno dopo ci siamo ritrovati e stavolta come fidanzati; quindi inevitabilmente ha dovuto entrare nel mio mondo ed affrontare la malattia. Nonostante questo e i suoi 9 anni di più, siamo sempre riusciti ad uscire, a divertirci, ma lui non sembrava mai soddisfatto. Riconosco che si è preso cura di me quasi fino alla fine.

In 2 anni che siamo stati assieme, senza mai saltare un giorno, ne abbiamo passate tante. Proprio grazie alla mia malattia che si era creata una particolare intesa fra noi, sviluppando un forte senso di protezione da parte sua, che assieme alla sua forte gelosia di natura, ha portato anche ad un nostro distacco, ed io ho continuato la mia battaglia da sola.

E’ stata durissima devo dire, anche perché lui mi ha lasciata in ospedale durante un ricovero per pneumotorace, dopo l’ennesimo battibecco con mia madre riguardo le mie condizioni.

Talvolta le cose che sembrano piacerci molto si rivelano dannose per la nostra salute. I suoi difetti avevano superato i limiti per un rapporto vivibile.

 Dopo di lui nessuno. Nessuno con cui stavo bene e al momento la malattia mi prendeva tutte le mie forze per poter pensare di ricominciare. Solo un ragazzo che avevo conosciuto tramite amici aveva perso la testa per me, ma non io per lui. Per farvi un esempio; è venuto in treno, dopo il lavoro a trovarmi in ospedale a capodanno preparandomi la cena , con tavola imbandita di tutte le migliori pietanze; alla fine si propose addirittura di fermarsi lì a dormire. Purtroppo io in quel periodo, non dormivo neanche più e non accettai. Non fui mai abbastanza riconoscente con lui e questo mi dispiace… anche se è sempre stato amore non corrisposto.

 TOCCARE IL FONDO DEL PRECIPIZIO

 Ero in fase di dimissione ormai, stavo benino e dopo pranzo stavo andando a bere un caffè quando cominciai a tossire, e il fiato non mi tornava. Subito mi sono dovuta sedere e il mio ragazzo che era venuto a trovarmi, ha chiamato aiuto. La fisioterapista mi ha provato subito la saturazione dell’ossigeno e non era normale  ( 88 circa) . Mi hanno portata in stanza con la carrozzina, mi hanno messo l’ossigeno e fatto il cortisone in vena.

Il cuore correva all’impazzata e credevo di non farcela! I valori andavano un po’ meglio ma io mi sentivo malissimo… aspettarono il mattino per farmi una lastra.

Risultato: polmone destro completamente collassato, il famoso pneumotorace.

 Il dottore accompagnato da un’altra dottoressa mi disse che si sarebbe risolto inserendo un

tubicino nelle costole, il drenaggio e mi avrebbero portata subito al polo chirurgico.  Agitatissima, mi trasportarono per la prima volta in chirurgia dove con un anestesia locale nel giro di una decina di minuti inserirono il drenaggio e mi fecero tornare in reparto.

Non funzionò subito perché il drenaggio non era ben posizionato e quindi nel pomeriggio tornai in chirurgia.

Nel frattempo i miei genitori mi avevano raggiunta in reparto.

Mi avevano insegnato la fisioterapia per espandere la zona e per la riabilitazione del

braccio in cui avevano messo il drenaggio. Dicevano che camminare avrebbe aiutato e così piano piano con i miei drenaggi e l’ossigeno mi sono messa in cammino lungo i corridoi. In quel periodo stavano facendo

anche il cambio reparto e per fortuna avevo la stanza con il bagno. 

Altrimenti gli spostamenti sarebbero stati pressoché difficoltosi. Sono stata fortunata da quel punto di vista perché prima dovevo condividere il bagno del settore e le stanze erano molto più piccole e vecchie.

Dopo una settimana e un susseguirsi di lastre e dolori insopportabili, il mio pneumotorace era ancora

stazionario e quindi o dottori cominciavano a cercare strade diverse, e mi proposero un intervento.

Quante ansie, quante attese per quel mio primo intervento! Dolori, debolezza ma per fortuna anche la presenza del mio ragazzo mi facevano compagnia in quei giorni.

Il giorno che dovevo fare l’operazione ero molto tesa ma soprattutto stanchissima dall’attesa e dal digiuno.

Alla sera arrivò il mio turno. L’intervento durò quattro ore circa e andò tutto bene dissero. Quando mi svegliai ero solo confusa e continuavo a lamentarmi e a dire: “ho paura! Ho paura!”.

Anche se non mi ero risvegliata del tutto mi riportarono subito nel mio reparto anziché in terapia intensiva e questo era già un buon segnale.

L’indomani mi svegliai con un drenaggio in più rispetto a prima dell’intervento ma non avevo nessuna sensazione di miglioramento. Dopo la medicazione dei drenaggi e le lastre di controllo, pochi giorni dopo sono stata dimessa.

Era il periodo natalizio, e non lo passai per niente serenamente. I medici mi dissero che ci voleva tempo perché tutto tornasse come prima. Facevo attenzione ad ogni movimento. In particolare ricordo le sensazioni strane nel camminare e fare fisioterapia.

Poi la conferma di quelle stranezze mi fu data alla visita di controllo a un mese di distanza. La dottoressa

vide subito dalla lastra che c’era ancora qualcosa che non si era sistemato, in quel polmone destro. Subito si mise in contatto coi chirurghi. Questi consigliarono di ricoverarmi subito. Io scoppiai a piangere. Non volevo rivivere le stesse paure e dolori che avevo vissuto poco a distanza di neanche un mese. Purtroppo

non avevo scelta. Mi posizionano di un nuovo drenaggio e attendendo per eventuali

miglioramenti, mi rifacevano il ciclo in vena di antibiotico, evitando però il cortisone, che non

permetteva il rimargino della ferita.

Intanto i segni delle cicatrici aumentavano così come i dolori e la mia pazienza diminuiva. Dopo 2 settimane

c’era stato solo un lieve miglioramento ma mi dimisero lo stesso dicendo che visto il

risultato dell’altra volta non avrebbero più tentato altri interventi. Andai a casa un po’ disagiata ovviamente per quella situazione ma mi avevano detto che c’era una piccola

speranza che si rispandesse da solo. Passo dopo passo, assieme agli esercizi che

mi dissero di continuare a fare a casa, (non saltavo mai la fisioterapia) il polmone tornò ad espandersi quasi completamente.

Oggi quando scrivo questi ricordi mi domando come ci sono riuscita.

Ciò che non uccide, fortifica.

“THE SHOW MUST GO ON”

La mia vita universitaria fu breve ma intensa. Il primo anno mi sentivo molto carica, avevo fatto 9 esami e li avevo passati a pieni voti. Neanche le emotisi mi fermavano dal dare un esame.

Il secondo mollai tutto.  Venezia non era proprio il posto adatto alla mia salute. Pioggia, vento, sedi distaccate, vita da pendolare mi avevano creato un forte stress psico-fisico. Non rimpiango affatto la mia scelta comunque. Una bella esperienza e di sicuro ho imparato qualcosa in più da aggiungere al mio bagaglio di viaggio.

L’ASPETTO PSICOLOGICO DELLA MALATTIA

Soffermarsi sull’aspetto psicologico che questa malattia coinvolge è fondamentale. Spesso corpo e anima vanno a braccetto. Non mi sono mai sentita compatita o perdonata in nessun ambito, né dalla mia famiglia né dai miei amici. Il mio aspetto pressoché curato, il sorriso e la mia positività non davano segni di sofferenza.

Si può esser invidiosi di una persona che ha una grave malattia??

Malgrado la mia positività e la mia luce che la maggior parte delle persone riusciva a vedere,

proprio da chi invece dovrebbe esser felice per te, invece vuole spegnerti la luce. L’ignoranza di certe persone ti graffia e ti rimane dentro per sempre anche se provi a perdonarli.

Avrei desiderato un appoggio di un fratello ad esempio.

Sembrerà banale per chi non l’ha vissuto ma ciò che mi è stato sempre vicino anche quando ero in ambulanza, è stato proprio l’immaginazione di un ragazzo che mi amasse, oltre alla piacevole sensazione che mi trasmetteva la mia danza.

Quando ero in chirurgia toracica a Padova, dopo il trapianto prima ancora di riuscire a camminare, mi dedicavo allo stretching a letto. Poi il mio comodino era pieno di foto e ricordi di danza che mia madre e le mie amiche con gioia e orgoglio mi avevano portato.

 A volte sembra che manchi il coraggio per fare le cose che ci piacciono di più, perché abbiamo paura del fallimento, delle delusioni, delle perdite. Evitare di mettersi in gioco, evitare i propri sogni… significa “sopravvivere e non vivere”.

FLASH PRIMA E DURANTE IL TRAPIANTO

Ed ora siamo giunti alla fase finale. Mi soffermerò solo su alcuni punti decisivi.

Mia madre era appena scesa a bere il caffè alle macchinette dopo pranzo, il suo ovviamente, io ormai stentavo a tenere gli occhi aperti. Mi stavo riposando un po’ dalla grande fatica che facevo a respirare e poi mi svegliai di colpo come a soffocare e subito suonai il campanello e in breve tutti i medici, fisioterapisti e infermieri, furono nella ma stanza. Subito dopo arrivò la mamma e poi anche la rianimazione. Fu tutto veloce, arrivò mio papà che mi accarezzò il piede e poi mi addormentai. Non so per quanto ma poi mi dissero che mi intubarono e il giorno dopo ero una macchina.

La macchina ECMO, circolazione extracorporea ormai non faceva neanche più il suo lavoro.

Nemmeno quella riusciva ad ossigenarmi più il sangue. La dottoressa della chirurgia ha voluto farmi

trasferire a Padova anche prima che arrivassero gli organi, forse per diminuire i tempi di trasporto.

Mi trasportarono con un’ambulanza speciale, sempre a mia completa insaputa dato il mio stato.

Ricordo le prime voci che sentivo: le infermiere di Padova si chiedevano come mai avessi ancora lo smalto rosso.

Poi la mia reazione quando la vidi la dottoressa di Padova: “Ma tu che ci fai qui?”.  Le chiesi.

Non avevo capito di essere a Padova. Nessuno me l’aveva spiegato e anche se cercavano di farlo, io non volevo crederci.

La dottoressa mi disse: “Ciao Beatrice, hai fatto il trapianto”.

Chissà, forse volevano rasserenarmi e magari tutto sarebbe funzionato meglio…  Pensavo fortemente che volevo innamorarmi ancora, ballare e…

L’amore ha vinto.

APPUNTI DI VITA  –  LA FASE SUCCESSIVA AL TRAPIANTO

 Quante persone speciali mi hanno aiutato in questo percorso! Tutti a “lavorare” per me! Mi hanno fatto sentire come una regina!

Ora che sono a casa le persone continuano a farmi complimenti e ricordarmi quanto ne è valsa la pena!

Solo dottori e i trapiantati possono immaginare com’è stata dura la mia avventura, emozionandosi talvolta… al contrario amici, conoscenti e parenti non possono comprendere la profondità di ciò che mi è accaduto in questo viaggio verso il trapianto.

Non capita a tutti, per fortuna di fare “il giro della morte”: così l’hanno definito in rianimazione o di vedere la famosa “luce gialla-bianca”, i flash della mia vita,  sentire la musica, e il progetto del trapianto. Mi sento molto diversa da una persona qualunque e sinceramente, anche se può sembrare una follia, mi fa paura tornare ad esser come loro, a non meravigliarmi più delle cose quotidiane e magari a lamentarmi di un mal di testa.

L’importante ora è che ho la possibilità di respirare senza tossire e tutto il resto… una nuova BEATRICE.  Ricordo le cose assurde che negli ultimi mesi ho dovuto affrontare. Mi viene in mente ad esempio il ricovero in rianimazione dopo il trapianto.

Eravamo pochi pazienti e fra questi ricordo un ragazzino “Ale”. Lui tifava per me e io l’avevo soprannominato “Angioletto”. Un altro signore che mi ha colpito fra i presenti era Stefano , un uomo  in coma da parecchio tempo , passavo il tempo a fissarlo, come se così potessi aiutarlo , nella speranza che prima o poi mi avesse parlato.

Certi ricordi non si cancelleranno mai dalla mia mente, nonostante non potrò mai sapere con esattezza quale sia il limite della mia fantasia e quale quello della verità. Ad esempio la mia chiamata ai carabinieri, in seguito a una minaccia da parte di infermieri e dottori di sedarmi per poi espiantarmi gli organi nuovamente. Questo speravo fosse solo un incubo, ma poi sia un’infermiera dell’ospedale dov’ero in cura per la fibrosi cistica, sia il mio cellulare testimoniarono l’avvenuta chiamata.

Questi sono solo dettagli.

Il passato deve servire ad apprezzare il presente, che è un dono.

RINGRAZIAMENTI

Devo ringraziare le numerose persone che hanno contribuito alla mia resurrezione:

il mio angelo che mi ha donato gli organi, le mani del chirurgo, tutto lo staff della rianimazione e della chirurgia toracica, il reparto di fibrosi cistica in cui sono cresciuta e  mi ha curata al meglio fino a 24 anni, la mia famiglia, i miei amici e anche chi non conoscevo che pregava per me e soprattutto Dio. Dio che ogni giorno mi mette alla prova e mi ha dato una seconda vita.

Il percorso del trapianto è una salita ripida. Una vera e propria montagna da scalare… ci sono molti ostacoli, ma quando si arriva in cima si può prender fiato e guardare il panorama.

Beatrice Stipa (trapiantata a Padova il 18/07/2013)

La FIBROSI CISTICA

La Fibrosi Cistica è la più comune tra le malattie genetiche gravi. Si presenta fin dalla nascita ed è trasmessa dai genitori che presentano entrambi una mutazione del gene CFTR. Chi possiede una sola mutazione viene considerato come portatore sano e una coppia di portatori sani ha una probabilità su quattro di avere un figlio ammalato.

La fibrosi cistica ha come sintomo l’alterazione delle secrezioni di molti organi, anche se quelli che in genere risultano più colpiti sono i polmoni ed i bronchi. Altri sintomi sono queli  a carico del pancreas che, non producendo gli enzimi necessari alla digestione, crea problemi di cattivo assorbimento dei nutrienti e conseguente ritardo nella crescita e malnutrizione, soprattutto nel bambino. Questo deterioramento della funzione pancreatica può portare con l’avanzare dell’età a una forma di diabete.

Le cure per questa malattia genetica sono da sempre rivolte al contenimento dei sintomi e al prevenire ogni forma di complicanza. Fortunatamente tutte le figure che ruotano attorno allo studio di questa malattia, senza dimenticare l’attività eccezionale della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica Onlus e la Lega Italiana Fibrosi Cistica Onlus, hanno permesso di effettuare una grandissima attività di ricerca che sta portanto notevoli risultati sulla cura e il contenimento dei sintomi in alcuni tipi di mutazione.

Al momento però il trapianto bipolmonare risulta la forma di cura più concreta soprattutto nelle forme più avanzate della malattia, in cui polmoni e bronchi nel corso degli anni hanno subito una deteriorazione tale da portare all’insufficienza respiratoria grave. Quasi la metà dei trapiantati di polmone sono giovani pazienti affetti da fibrosi cistica, che hanno dovuto combattere per tutto il corso della loro breve esistenza contro una malattia progressivamente molto debilitante e che porta notevoli limitazioni delle condizioni di vita. Col trapianto si trovano finalmente a poter vivere una vita piena e senza tutte le le gravi limitazioni che porta la malattia.

La FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA

La Fibrosi Polmonare Idiopatica, conosciuta anche come IPF dall’acrononimo inglese,  è la malattia respiratoria rara più frequente in Italia. “Idiopatica” significa sconosciuta, cioè nessuno conosce la causa che la provoca. Può manifestarsi a qualsiasi età ma è rara al di sotto dei 50 anni e la fascia di età più colpita è la sesta/settima decade. I sintomi più comuni sono tosse secca e stizzosa e mancanza di fiato lentamente progressiva che si può avvertire mentre si corre o si fanno le scale, poi mentre si passeggia, poi durante una breve camminata. Non esiste attualmente una cura risolutiva per l’IPF. Fino a poco tempo fa l’unica soluzione era il trapianto di polmoni, dal 2013 è in commercio il pirfenidone, il primo farmaco orale, che rallenta la progressione della malattia e diminuisce la mortalità, che viene erogato dalle farmacie ospedaliere su prescrizione del medico specialista.

La nostra associazione ha un occhio di riguardo rispetto a questa patologia, anche perchè ne soffrivano più della metà degli attuali trapiantati di polmone. Per questo motivo siamo impegnati insieme ad altre associazioni sparse in tutta l’Italia, nel fare comunicazione per far conoscere questa patologia ai cittadini ma anche ai medici di base che quasi sempre sono i primi che si trovano a dover fare una diagnosi che può essere molto complicata perchè spesso i sintomi della fibrosi polmonare idiopatica possono essere confusi con quelli di altre malattie. Questa attività di informazione ha il suo momento massimo durante la Settimana Mondiale della Fibrosi Idiopatica, conosciuta come IPF World Week, che si tiene generalmente nel mese di ottobre di ogni anno e che ci vede in prima linea insieme ai medici e ai ricercatori del Policlinico di Padova con iniziative varie come conferenze e banchetti informativi per la cittadinanza.

A Padova è presente un team multidisciplinare che si occupa attivamente di questa patologia, costituito da pneumologi, anatomo-patologi e radiologi di altissima esperienza. In particolar modo è presente un Centro ad Alta Specializzazione per le Malattie Rare ed Interstiziali del Polmone, all’interno dell’U.O di Pneumologia, gestito dalla dott.ssa Elisabetta BalestroQuesto centro è tra quelli individuati in Italia autorizzati a prescrivere il Pirfinidone.

Per avere ulteriori informazioni sulla patologia e sul Centro ad Alta Specializzazione di Padova, compilate il nostro modulo di contatto, vi risponderemo direttamente o, in caso di richieste particolarmente tecniche, provvederemo ad inoltrarle ai medici specialisti.

Le principali patologie per cui è indicato il trapianto polmonare

Sono diverse le patologie polmonari che possono portare al trapianto polmonare. Si tratta perlopiù di malattie degenerative, molto spesso rare o di cui ancora non si conosce la causa, per cui ancora non esistono cure, soprattutto nella fase avanzata della malattia stessa.

Quello che noi auspichiamo è che si possa giungere presto ad una cura risolutiva per tutte queste patologie, nel frattempo però ci teniemo a sottolineare che il trapianto di polmone, singolo o bipolmonare, rappresenta oggi una cura risolutiva che può permettere anni ed anni di vita pressochè normale a pazienti che altrimenti sarebbero stati destinati ad una vita breve me sopratutto molto dura, in cui anche una cosa cosa semplice e naturale come il respiro, diventa un atto di una fatica immane.

Le patologie principali sono:

  • fibrosi polmonare idiopatica e altre malattie infiammatorie ed interstiziali del polmone;
  • fibrosi cistica;
  • bronchiectasie e polmone policistico;
  • L.A.M. o linfangioleiomiomatosi;
  • broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), compreso l’enfisema;
  • ipertensione polmonare;
  • deficit dell’enzima alfa 1-antitripsina.

In questa sezione approfondiremo alcune di queste patologie. Nel caso abbiate qualche domanda da porci su qualche patologia che non è stata trattata, oppure su qualche aspetto che non è stato approfondito abbastanza, vi preghiamo di contattarci selezionando l’apposita sezione contatti, faremo il possibile per rispondere al più presto alle vostre richieste. 

Trapianto di polmone da donatore a cuore fermo

Nel mese di Novembre del 2014 il Policlinico di Milano ha eseguito il primo trapianto di polmone da donatore a cuore fermo.

Per far fronte al grave problema dell’esiguità di organi disponibili di recente sono stati considerati, oltre ai ‘classici’ donatori con morte cerebrale, anche donatori ‘a cuore fermo’. In questi donatori il cuore ha smesso di battere e gli organi non ricevono più ossigeno: la rapidità del prelievo diventa quindi condizione essenziale perchè gli organi non si deteriorino, fatto che rende molto più complesso questo tipo di donazione

E’ stato eleborato un metodo per preservare i polmoni nel cadavere che permette di allungare i tempi utili al prelievo nei donatori a cuore fermo. Gli organi vengono  preservati per il tempo necessario per adempiere ai criteri imposti dall’attuae legislazione nel cadavere prima di essere prelevati; poi, una volta espiantatati, vengono ricondizionati, ovvero ‘riparati’ e ‘ringiovaniti’ mediante perfusione e ventilazione extracorporea, una tecnica introdotta in Italia proprio al Policlinico.
Combinando la tecnica per preservare gli organi nel cadavere con quella del ricondizionamento, è stato quindi possibile procedere con il trapianto, che ha avuto un esito positivo per il paziente.

Ora questo sistema è in fase avanzata di studio anche in altri centri e secondo le stime effettuate potrebbe aumentare notevolmente la quantità di organi disponibili all’espianto. E’ quello che tutti noi auspichiamo.

Donazione polmonare da Donatore Vivente

Il trapianto di polmone è oggi l’approccio di elezione per migliorare la qualità di vita di tutti quei pazienti che soffrono di varie malattie polmonari all’ultimo stadio (escluse le neoplasie) e che non abbiano controindicazioni ad un intervento chirurgico importante.
Pur essendo possibili trapianti polmonari bilaterali e trapianti di cuore-polmoni, nella maggior parte dei casi si esegue il trapianto di polmone singolo. Questo è generalmente sufficiente a migliorare la funzionalità polmonare di due diversi riceventi, trapiantati con i polmoni prelevati da un singolo donatore.
Il trapianto, che fino a poco tempo fa poteva essere eseguito solo da donatore cadavere, oggi può essere effettuato anche da donatore vivente. È stata infatti di recente approvata anche in Italia una specifica norma che consentendo questa procedura, amplia così le opportunità di cura per molti pazienti, in modo particolare per i bambini o piccoli soggetti. Come per gli altri programmi, il trapianto di polmone è regolato da norme e documenti di indirizzo a cui fare riferimento.

Per ulteriori informazioni consultare il sito del Centro Nazionale Trapianti ed il seguente link:
http://www.altalex.com/documents/leggi/2012/10/01/norme-per-il-trapianto-parziale-di-organi-tra-persone-viventi

LA DONAZIONE DI ORGANI E TESSUTI

Legislazione

Nel nostro Paese per la manifestazione della volontà di donare vige il principio del consenso o del dissenso esplicito (art. 23 della Legge n. 91 del 1 aprile 1999; Decreto del Ministero della Salute 8 aprile 2000). Il “silenzio-assenso” introdotto dagli artt. 4 e 5 della Legge 91/99 non ha mai trovato attuazione.

A tutti i cittadini maggiorenni è dunque offerta la possibilità (non l’obbligo) di dichiarare la propria volontà (consenso o diniego) in materia di donazione di organi e tessuti dopo la morte, attraverso le seguenti modalità:

  • la registrazione della propria volontà presso la propria Asl di riferimento o il medico di famiglia, attraverso un apposito modulo. Queste dichiarazioni sono registrate direttamente nel Sistema Informativo Trapianti (SIT), il data-base del Centro Nazionale Trapianti, che è consultabile dai medici del coordinamento in modo sicuro e 24 ore su 24;
  • la compilazione del c.d. “tesserino blu”  del Ministero della Salute o del tesserino di una delle associazioni di settore, che deve essere conservato insieme ai documenti personali;
  • qualunque dichiarazione scritta che contenga nome, cognome, data di nascita, dichiarazione di volontà (positiva o negativa), data e firma, (considerata valida ai fini della dichiarazione dal Decreto ministeriale 8 aprile 2000), anch’essa da conservare tra i documenti personali;
  • l’atto olografo dell’Associazione Italiana Donatori di Organi (AIDO). Grazie ad una convenzione del 2008 tra il Centro Nazionale Trapianti e l’AIDO, anche queste dichiarazioni confluiscono direttamente nel SIT.

Nel caso di potenziale donatore (soggetto di cui sia stata accertata la morte con criteri neurologici), i medici rianimatori verificano se questo ha con sé un documento attestante la propria dichiarazione di volontà o se quest’ultima risulta registrata nel SIT.

Se un cittadino non esprime la propria volontà in vita, la legge prevede la possibilità per i familiari (coniuge non separato, convivente more uxorio, figli maggiorenni e genitori) di opporsi al prelievo durante il periodo di accertamento di morte. Pertanto, è bene parlare anche con i propri familiari, poiché, in assenza di dichiarazione, essi vengono interpellati dai medici circa la volontà espressa in vita dal congiunto. Per i minori sono sempre i genitori a decidere, e se anche solo uno dei due è contrario, il prelievo non può essere effettuato.
Il cittadino può modificare la dichiarazione di volontà in qualsiasi momento. Sarà ritenuta valida, sempre, l’ultima dichiarazione resa in ordine di tempo secondo le modalità previste.

Riassumendo, in caso di morte possono verificarsi tre situazioni:

  1. Il cittadino ha espresso in vita la volontà positiva alla donazione, e in questo caso i familiari non possono opporsi: donazione si.
  2. Il cittadino ha espresso volontà negativa alla donazione, in questo caso non c’è prelievo di organi: donazione no.
  3. Il cittadino non si è espresso, in questo caso il prelievo è consentito se i familiari non si oppongono: donazione si/no (l’informazione ai familiari sull’attivazione della procedura di accertamento di morte con criteri neurologici è obbligatoria).

Progetto CCM “La Donazione Organi come Tratto Identitario”, un progetto pilota per i Comuni Nel marzo 2012 è stato attivato un progetto pilota in Umbria, nelle città di Perugia e di Terni, che consente ai cittadini maggiorenni di indicare all’anagrafe comunale, in occasione del rilascio o del rinnovo della carta d’identità, la dichiarazione di volontà, che viene registrata direttamente, con valore legale, nel Sistema Informativo Trapianti del Ministero della Salute (la dichiarazione non viene scritta all’interno della carta). L’intenzione è quella di estendere il progetto in tutta Italia, per far sì che la donazione sia una scelta sempre più numerosa da parte di cittadini consapevoli e informati. Il progetto nasce per dare attuazione a quanto previsto all’art. 3 comma 8 bis, nel Decreto legge 30 dicembre 2009, n.194 convertito dalla Legge n.25 del 26 febbraio 2010, noto come decreto “Mille-proroghe”, sul tema dell’espressione della volontà o del diniego a donare gli organi al momento del rilascio della carta di identità, e sono sempre di più i comuni e le regioni che hanno aderito o stanno aderendo a questo sistema molto valido che permetterà di ampliare notevolmente il bacino dei potenziali donatori.